green pass

Corte Europea dei diritti dell’uomo

Protocollo

Consiglio d’Europa

Protocollo

Agenzia Europea dei diritti fondamentali

Protocollo

Parlamento dell’Unione Europea

Protocollo

Commissione Europea

Protocollo

Istituzioni presso la Commissione Europea

Mediatore Europeo

DG Competition

DG Internal Market

 Stiamo per depositare presso gli organi di controllo della UE al fine di mettere la parola fine a questi soprusi antidemocratici che Governo Italiano porta avanti nell’indifferenza delle superiori Istituzioni nazionali e dell’intera magistratura, che continua a respingere i ricorsi dei cittadini.

Oggetto: violazione politica di concorrenza e regole di concorrenza a mezzo dell’utilizzo del “green pass” – covid certificate in Italia.

Le istituzioni adite sono già state portate a conoscenza, a mezzo numerose segnalazioni, di quanto occorso dal 2020 fino ad oggi in Italia, cioè i provvedimenti adottati dal Governo Italiano e delle numerose violazioni dei diritti essenziali perpetrate ai danni dei cittadini.

Con la presente segnalazione si evidenzia come le misure adottate dal Governo Italiano siano in netto contrasto con la politica di libera concorrenza, creando un pregiudizio ed un danno non solo al sistema economico e finanziario italiano, ma all’intero mercato europeo nella sua complessità, per le motivazioni di fatto e di diritto che si riportano.

In conseguenza dell’evento epidemiologico Covid 19, in Italia veniva dichiarato lo stato di emergenza con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 Gennaio 2020, con scadenza al 31 luglio 2020. Durante questo periodo venivano adottati vari DPCM, cioè Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e successivamente con diversa tecnica legislativa alcuni Decreti Legislativi oggetto di successiva conversione in sede parlamentare, aventi ad oggetto una serie di misure restrittive delle libertà individuali, nonché limitative del diritto al lavoro, alla libertà di stabilimento, alla libera iniziativa economica privata e alla tutela del diritto dei consumatori.

In particolare, la maggior parte delle attività produttive, commerciali e dei servizi subivano il cosiddetto “lockdown totale” dal giorno 11 marzo al 31 maggio del 2020. Addirittura alcune attività oggi non hanno ancora ripreso ad operare ( discoteche, sale da ballo, fiere ) in considerazione di una serie di restrizioni allo scopo di limitare il fenomeno epidemico.

Bar, ristoranti, negozi, palestre, piscine, cinema, teatri, musei, discoteche, stazioni sciistiche, centri commerciali, hotel, attività ricettizie, parrucchieri, estetisti, studi professionali, tutte le attività non essenziali subivano tale blocco totale. Dal 22 marzo 2020 rimanevano aperti solo le aziende di produzione e logistica, i negozi di alimentari, farmacie, generi di prima necessità e servizi essenziali.

Con i decreti legge successivamente adottati dal governo Draghi, veniva mantenuto il sistema delle regioni a fasce ( colore attribuito sulla base dei contagi e dei ricoveri, con relative restrizioni ), sebbene nel periodo estivo venissero modificati i parametri e fissati i limiti allo svolgimento di talune attività: ciò determinava la cessazione e il fallimento di numerose piccole e medie imprese italiane.

Ai sensi dell’art. 9 del Decreto Legge n. 52 del 2021 in adempimento a quanto prescritto dal Regolamento della Unione Europea 2021/953, veniva istituito il “green pass” (covid certificate) italiano.

E’ stabilito che è possibile conseguire il green pass virtù delle previsioni di cui al regolamento 2021/953 della Unione Europea e dell’art. 9 comma 3 del Decreto Legge n.52 del 2021 dopo aver ricevuto il vaccino, oppure dopo essere guariti negli ultimi sei mesi o se si è risultati negativi al test molecolare o antigenico nelle ultime 48 ore, fatte salve le esenzioni di legge ( minori e persone affette da particolari patologie ).

L’art. 3 del successivo Decreto Legge n. 105 del 2021 ne modificava l’art. 9 istituendo l’art. 9 bis il quale impedisce l’accesso ai seguenti luoghi ai cittadini italiani che non si siano sottoposti a vaccinazione anti-covid o non si siano sottoposti ai tamponi:

a) servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per il consumo al tavolo, al chiuso;

b) spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi;

c) musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre;

d) piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive limitatamente alle attività al chiuso;

e) sagre e fiere, convegni e congressi;

f) centri termali, parchi tematici e di divertimento;

g) centri culturali, centri sociali e ricreativi, limitatamente alle attività al chiuso e con esclusione dei centri educativi per l’infanzia, compresi i centri estivi, e le relative attività di ristorazione;

h) attività di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò;

i) concorsi pubblici.

La scadenza delle misure restrittive personali viene indicata nella data del 31/12/2021 (data di presunta scadenza dello stato di emergenza) confermata nel medesimo Decreto n. 105 del 2021, fino al dicembre 2021 ma in precedenza il Governo ha ripetutamente rinnovato – aggravandole – le dette misure restrittive, in tal modo violando le raccomandazioni sulla proporzionalità e limitatezza nel tempo di qualunque restrizione alle libertà individuali.

Ulteriormente, la norma prevede che dopo due violazioni delle disposizioni dell’articolo 9 bis del citato Decreto Legge (con accertamento di persone prive di green pass alle attività o gli eventi) commesse in giornate diverse a partire dalla terza violazione si applica la sanzione amministrativa della chiusura dell’esercizio o dell’attività da uno a dieci giorni.

Il Decreto Legge n. 111 del 2021 integra l’art. 9 sopra citato, rinominato come articolo 9 ter, statuendo l’obbligo di green pass per tutto il personale scolastico, per gli studenti universitari e per l’accesso ai mezzi di trasporto per i viaggi a lunga percorrenza (esclusi treni locali e metropolitana).

Oltre al personale scolastico (docenti, amministrativi, collaboratori) il nuovo decreto estende l’obbligo di possedere il green pass a chiunque accede a tutte le strutture delle istituzioni scolastiche, educative e formative a qualsiasi titolo, quindi anche i genitori degli allievi.

Non viene richiesto il green pass agli studenti, eccezion fatta per gli universitari.

Col successivo Decreto Legislativo n. 127 del 2021 avente ad oggetto “Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening” tutto il personale dipendente del mondo del lavoro sia del settore pubblico ( art 1 ) che privato ( art. 3 ) viene oggi obbligato a possedere ed esibire la certificazione covid al datore di lavoro prima ancora di entrare sul luogo di lavoro.

Viene quindi introdotto l’obbligo di possedere il green pass nel mondo del lavoro, esteso a tutti i lavoratori, indiscriminatamente.

Il green pass rappresenta requisito di accesso al luogo di lavoro e per lo svolgimento della attività lavorativa e la mancata esibizione comporta la sospensione del lavoratore, senza corresponsione dello stipendio.

Tale misura discriminatoria, coercitiva, vessatoria e vergognosa non è stata adottata in nessun altro Stato della Unione Europea.

MOTIVI IN DIRITTO

Il Decreto Legislativo n. 127 del 2021 appare in aperto contrasto e in netta violazione dell’art. 4 comma 1 lett. e) del Decreto Legislativo n. 105 del 2021, nonché dei regolamenti 953 e 954 EU del 2021, nonché – della risoluzione del Consiglio d’Europa n. 2361 del 2021, oltre che dei principi enunciati dalla Carta Sociale Europea ( art. 3, 4, 11, 12, 26, parte V sezione E ed F: obbligo di non discriminazione tra lavoratori ), dalla Carta di Nizza ( art. 15, 20, 27, 21 principio di non discriminazione, sezione solidarietà artt. 31, 34, 35: condizioni lavorative ispirate a giustizia ed equità, sicurezza e assistenza sociale e protezione nella salute fisica e morale ) e del T.F.E.U. ex art. 45 previsione di libera circolazione dei lavoratori all’interno della Unione Europea, senza alcuna discriminazione.

Inoltre il contenuto di tale Decreto viola la Direttiva Unione Europea 89/391/EEC (attuata con Decreto Legislativo Italiano n. 81 del 2008, articolo 15, comma 2) poiché la direttiva europea prevede che i costi relativi alle misure di sicurezza e di prevenzione siano a carico dei datori di lavoro, che potranno avere agevolazioni fiscali in ordine ai medesimi, mentre in Italia tale costo viene posto a direttamente carico dei lavoratori per spingerli surrettiziamente alla vaccinazione, la quale invece è gratuita, realizzando in tal modo un meccanismo di ricatto mai visto prima nel mondo, ed in aperto contrasto con le previsioni della Risoluzione n. 2361 del 2021 de Consiglio d’Europa e con il Regolamento EU n. 953 del 2021.

Vi è, quindi, una violazione sia relativa ai diritti del lavoratore come consumatore ed anche nella sua posizione di utente nei confronti del Ministero della Salute e dell’Amministrazione dello Stato, nonché una palese violazione dei principi di concorrenza stante che il consumatore italiano nella figura del lavoratore si ritrova in una posizione di inferiorità rispetto ai lavoratori europei.

Tale violazione sussiste in maniera più grave e viene portata all’attenzione della Echr, poiché viene violato il diritto al lavoro e alla libera iniziativa economica privata, poiché il green pass diventa misura coercitiva per il lavoratore per potere avere accesso al lavoro (sia pubblico che privato), e per il consumatore nell’aver accesso a determinati servizi (vedasi art. 9 bis), con una immediata violazione delle norme che sovraintendono all’equilibrio del mercato europeo sia dal lato dei consumatori, che dal lato degli imprenditori.

Un disequilibrio del mercato interno italiano, infatti, determinerà conseguenze a catena anche in ambito europeo e soprattutto determinerà una posizione di inferiorità da parte degli imprenditori e dei cittadini italiani rispetto alle altre realtà produttive in tutto il resto della Unione Europea dove tali limitazioni non esistono e dove, quindi, esiste un implicito vantaggio per gli imprenditori nel realizzare le loro produzioni, ed una conseguente maggior facilità di accesso alle merci prodotte per i consumatori.

Le violazioni non si fermano qui.

I provvedimenti adottati dal governo italiano, successivi ai regolamenti comunitari 953 e 954 del 2021, sono in netto contrasto con le disposizioni in essi contenute, nonché con i principi fondanti della Unione Europea, e se ne chiede una dura sanzione.

L’articolo 9 del Decreto Legge n. 52 del 2021 prescrive il “green pass” come requisito di accesso a numerose attività cosi come l’art. 9 ter (mezzi di trasporto) e da ultimo il Decreto Legge sul green pass sul posto di lavoro, ma il legislatore italiano ha evidentemente dimenticato che l’art. 4 co. 1 lettera e) del decreto n. 105 del 2021 recita: “il comma 9 è sostituito dal seguente: «le disposizioni dei commi da 1 a 8 continuano ad applicarsi ove compatibili con i regolamenti EU 2021/953 e 2021/954 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021»

A ciò va aggiunta la circostanza che per una traduzione italiana poco precisa della norma europea come pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Celex della EU, il considerando n. 36 del regolamento 2021/953 veniva così pubblicato: “È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate. Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati”.

Successivamente, in seguito ad una serie di forti proteste e di sollecitazioni, la traduzione italiana veniva rettificata e pubblicata come segue, nella Gazzetta Ufficiale Italiana (Official Journal) del 5 Luglio 2021: “È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o per scelta di non sottoporsi a vaccinazione” così alla fine integrando quella parte fondamentale che l’Italia aveva trascurato ed omesso facendo falsamente trasparire una volontà di far credere che tale vaccinazione fosse obbligatoria secondo la norma EU, e che invece riconosce il diritto di libera scelta sulla vaccinazione anti-covid.

Non meno grave è la completa disattenzione rispetto alla risoluzione n. 2361 del 2021 per mezzo della quale il Consiglio d’Europa statuisce testualmente che è compito della Unione e degli Stati:

7.3.1. garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è sottoposto a pressioni politiche, sociali o di altro genere per essere vaccinato se non lo desidera;

7.3.2. garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non voler essere vaccinato;

Ne consegue che tutti i provvedimenti adottati dal Governo italiano, successivi alla data del 14 giugno 2021 vanno disapplicati e dichiarati illegittimi dalle Istituzioni Comunitarie poiché non compatibili con il contenuto dei regolamenti della Unione Europea n. 2021/953 e 2021/954 e contrastanti con le previsioni della detta Risoluzione del Consiglio d’Europa.

Il modus operandi italiano appare contrario agli indirizzi adottati dalla politica della Unione e alle condotte poste in essere dai governi degli altri Stati europei, tanto più se si considera che la maggior parte degli Stati europei non ha adottato un sistema di lockdown e di restrizioni per le attività produttive di così lunga durata e così sproporzionati, né tantomeno un green pass per poter lavorare cosi come è avvenuto in Italia.

Le imprese italiane, i lavoratori e i consumatori italiani hanno dovuto subire misure sproporzionate e lesive per l’economia, contrariamente agli altri Paesi dell’Unione Europea, subendo non solo violazioni dei diritti essenziali, ma anche e soprattutto una violazione delle leggi sulla politica di concorrenza cagionata dal potere esecutivo del Governo Italiano nei confronti della popolazione nazionale italiana, violazione che si riflette inevitabilmente anche nei confronti degli altri Stati della Unione Europea e all’Internal Market in generale.

Ad oggi, la Corte Costituzionale Spagnola e la Corte Costituzionale della Slovenia hanno dichiarato la illegittimità del green pass, numerosi Tribunali amministrativi francesi hanno dichiarato illegittimi i provvedimenti governativi aventi ad oggetto l’imposizione del pass, mentre Portogallo, Danimarca, Svezia, Finlandia e Norvegia hanno totalmente eliminato ogni forma di restrizione.

In Italia invece le restrizioni permangono ed anzi aumentano, spingendo di fatto la popolazione alla vaccinazione, sotto pena del ricatto della sospensione dal lavoro, della mancata retribuzione, e della chiusura della attività.

Non si ritiene di doversi dilungare sul rapporto tra norma interna e norma sovraordinata europea, in merito alla quale altri ricorrenti avranno abbondantemente scritto ma di fatto il legislatore italiano ha adottato misure non proporzionate all’azione da attuare e che esulano dagli scopi del regolamento perseguendo un fine differente rispetto a quello previsto dal regolamento che vieta le discriminazioni.

A ciò va aggiunta una netta, grave e immotivata disparità di trattamento tra i cittadini italiani e i cittadini degli altri Stati membri, poiché nella maggior parte dei Paesi si è assistito alla riduzione o addirittura alla revoca delle restrizioni delle libertà, mentre in Italia le restrizioni diventano sempre più punitive e lesive dei diritti e delle libertà e, contrariamente a quanto previsto dalla norma europea, non viene prevista una data certa come termine finale delle restrizioni, poiché il Governo continuamente proroga il termine finale di semestre in semestre ormai da più di due anni.

L’art. 288 del TFEU stabilisce che il regolamento ha portata generale ed è obbligatorio in tutti i suoi elementi, “considerando” compresi. L’art. 10 della Convenzione Europea determina la preminenza del diritto della Unione su quello interno per cui ogni altra considerazione appare superflua, a parte il fatto di chiarire che tali condotte hanno determinato la violazione del regolamento n. 2020/2092 dell’Unione Europea, poiché il rispetto dello Stato di diritto impone che tutti i pubblici poteri agiscano entro i limiti fissati dalla legge, in linea con i valori della democrazia e nel rispetto dei diritti fondamentali stabiliti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (la «Carta») e nel rispetto degli altri strumenti applicabili, e tutto ciò sotto il controllo di organi giurisdizionali indipendenti e imparziali. Per non dimenticare poi che la normativa italiana è stata adottata in violazione oltre che del Regolamento EU 2021/953 anche degli articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nn. 1, 3, 6, 8, 10, 21, 45, 54, nonché degli articoli nn. 1, 2, 3, 4, 8, 9, 13, 18, 19, 20, 21, 23, 25, e 26 della Dichiarazione dei diritti umani della Organizzazione Nazioni Unite ed in particolare dall’art. 7: “Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione”.

Non meno grave appare la violazione della risoluzione del 13.11.2020 del Parlamento Europeo (e Commissione di Venezia) del 2020in virtù delle quali si evidenzia che le misure di emergenza rappresentano un “rischio di abuso di potere” e che sono soggette “a tre condizioni generali, ovvero la necessità, la proporzionalità in senso stretto e la temporaneità” quando hanno effetti sullo Stato di diritto, sulla democrazia e sul rispetto dei diritti fondamentali. I Governi nazionali sono invitati “a non abusare dei poteri di emergenza per approvare norme non legate agli obiettivi dell’emergenza sanitaria di Covid”.

I Paesi EU vengono chiamati a porre fine allo “stato di emergenza” o definire chiaramente la delega dei poteri ai loro esecutivi; a garantire un efficace controllo parlamentare e giudiziario; ad astenersi dall’utilizzare il divieto di manifestazione per adottare misure controverse; ad astenersi dall’adottare misure che incidono profondamente sui diritti fondamentali.

Concetti già espressi a più riprese dalla Commissione Europea nelle fasi più acute di diffusione del virus, durante la primavera del 2020, nel tentativo di costringere gli Stati ad un approccio coordinato per la gestione della crisi, come per i controlli alle frontiere dello spazio Schengen.

L’Agenzia per i diritti fondamentali presso l’Unione dovrà continuare a riferire in merito all’impatto delle misure COVID-19 sui diritti fondamentali alla Commissione e gli Stati membri dovranno rendicontare alla medesima sullo stato della applicazione del regolamento 2021/953 e la rendicontazione dovrà essere coerente con la realtà.

Cosa si rendiconterà per l’Italia?

Di certo, oltre alle violazioni già individuate ne sussistono altre, non sempre adeguatamente evidenziate.

Violazione politica della concorrenza – violazione delle regole dell’internal market – violazione art. 101 TFEU – violazione del protocollo 27 del mercato interno e della concorrenza – violazione art. 3, par. 3 TFEU – violazione TFEU artt. 37, 106, 345 e 14, 59, 93, 106, 107, 108, 114 in materia di servizi pubblici – violazione ex art 36 Carta dei diritti fondamentali – violazione direttiva 2003/01, divisione del lavoro e uniformità regole di concorrenza – violazione direttiva 11.12.2018 corretto funzionamento internal market – violazione direttiva 2014/104 azioni risarcitorie per violazione al diritto della concorrenza – abuso di posizione dominante – violazione single market program e consumer protection – violazione standard unici di concorrenza.

Tutta la normativa italiana adottata è in violazione degli artt. 101 – 109 del TFEU, nonché del protocollo 27 del mercato interno e della concorrenza, poiché un sistema propenso ad una equa concorrenza è parte del mercato interno ai sensi dell’art. 3, paragrafo 3 del TFEU.

Inoltre, in considerazione delle limitazioni al mercato del lavoro e dei servizi essenziali resi da autorità pubbliche si sostanzia anche una violazione degli artt. artt. 37, 106, 345 e 14, 59, 93, 106, 107, 108 e 114 in materia di servizi pubblici.

Il mancato corretto funzionamento del mercato interno inficia le condizioni di parità tra Stati membri, imprese degli Stati e consumatori degli Stati per cui dove esiste una limitazione al mercato interno del singolo Stato essa determina delle difformità e delle anomalie in tutto il mercato dell’Unione da un punto di vista finanziario, economico e giuridico con una conseguente macroscopica disparità di trattamento.

Il TFEU infatti prevede che non vengano adottate condotte contrarie alla libera concorrenza, che non vengano adottati accordi restrittivi che pregiudicherebbero le imprese e i consumatori e la concorrenza in ambito comunitario: il “green pass”, con la sua struttura e con le sue modalità di attuazione sul territorio italiano, falsa totalmente l’internal market dell’Unione Europea.

Di fatto le restrizioni alle attività produttive e di erogazione di servizi comportano un grave handicap per la economia italiana ed un impatto sui flussi finanziari ed economici che, considerato l’elemento transfontaliero della maggior parte delle attività produttive, travalica i confini dello Stato italiano. Nel caso poi di piccole e medie imprese autonome, non in rete, si delinea addirittura una sorta di concorrenza sleale perché esse subiscono una serie di limitazioni più determinanti, che potrebbero generare situazioni di abuso di posizione dominante da parte di grandi imprese non italiane che potrebbero tentare di rilevare (come è già successo) le attività produttive italiane, con una contestuale violazione del cosiddetto Golden Power, con grave danno e pregiudizio per imprese e i professionisti.

Il lockdown maggiore che negli altri Stati, le chiusure maggiori, i limiti di accesso alle attività di erogazioni di beni e servizi, i limiti di svolgimento dell’attività lavorativa in virtù del cosiddetto “green pass” rappresentano quindi un pregiudizio ed una grande interferenza per la concorrenza e l’internal market di tutta Europa e non solo per l’Italia.

In questo senso, alla luce delle premesse, si comprende a maggior ragione come lo strumento di cui al regolamento 2021/953 sia stato completamente travisato dal Governo italiano che, oltre a recare un danno alle sue stesse imprese e ai suoi consumatori, reca un danno a tutta la Unione Europea.

A ciò va aggiunto che la Direttiva 2003/01 stabilisce che una efficiente divisione del lavoro e l’uniformità delle regole nel mondo del lavoro assicurano il rispetto delle regole di concorrenza. La direttiva 11.12.2018 pone i principi per il corretto funzionamento dell’internal market e la direttiva 2014/104 indica i presupposti e le modalità di esercizio delle azioni risarcitorie da intraprendersi in caso di violazione della concorrenza. Tutte norme completamente disattese dal Governo italiano.

A ciò va aggiunto che, se da un lato assistiamo alla violazione delle regole di concorrenza ai danni del mondo del lavoro e della imprenditoria italiana, dall’altro assistiamo alla violazione delle regole della Consumer Protection e degli standard unici per i consumatori.

Di fatto, in tutti i paesi dell’Unione Europea le attività produttive e i consumatori non sono sottoposti più ad alcuna restrizione, ma lo sono solo in Italia, in maniera forte ed irrazionale. Per cui il popolo italiano oltre a subire tale sopruso, rischia di contagiare con un collasso economico anche gli altri Stati della Unione Europea.

Manca e viene completamente meno il rispetto del principio della uniformità delle regole per imprese e cittadini, enunciata alla politica di concorrenza.

Inoltre, il green pass attuato solo in Italia determinerà non solo una vessazione iniqua e una violazione del principio di uguaglianza sostanziale, ma anche dei flussi economici e finanziari non equilibrati, ed anche una alterata pressione fiscale e tributaria poiché l’imposizione fiscale e il rispetto di taluni parametri europei (Pil, debito pubblico etc) avranno un impatto differente sulle imprese italiane e su quelle del resto della EU.

L’art. 101, par. 1, TFEU statuisce che “Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno …

Inoltre una simile restrizione tra imprese dello stesso Stato che si estenda a tutto il territorio nazionale può comportare per altri versi un pregiudizio al commercio ex art. 101 TFEU e rinforzare le barriere nazionali creando un effetto protezionistico o pregiudizievole per le aziende.

Secondo la Corte di Giustizia Europea la nozione di “possano pregiudicare” implica che deve essere possibile prevedere con un grado di probabilità adeguato, in base ad un complesso di fattori obiettivi di fatto o di diritto che l’accordo o la pratica possano avere un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale, sulle correnti degli scambi fra Stati membri: il pregiudizio, quindi, può essere anche solo potenziale.

A ciò va aggiunto che gli Stati membri sono tenuti ad “astenersi dall’emanare o dal mantenere in vigore provvedimenti che possano rendere praticamente inefficaci tali norme della concorrenza” sent. Lucas Asjes, 30 aprile 1986, 209/84 e 213/84

CONCLUSIONI

Le violazioni dei regolamenti e del TFEU da parte del Governo italiano appaiono evidenti.

Si chiede quindi che la Commissione e tutti gli organi competenti per lo specifico settore di riferimento, ognuno per la propria competenza,

vogliano urgentemente adottare

tutti i provvedimenti del caso, ivi compresa una procedura da adottarsi in caso di violazione delle regole di concorrenza, senza che eventuali procedure di infrazione abbiano impatto diretto o indiretto nei confronti di imprese e consumatori italiani ed europei obbligando il Governo, il Parlamento e lo Stato Italiano a revocare tutte le misure di limitazione della libertà personale e le misure di limitazione di accesso sul posto di lavoro che di fatto costringano i lavoratori italiani e le persone in genere a sottostare ad un obbligo vaccinale non previsto dal Regolamento EU n. 2021/953, misure che si riflettono inevitabilmente in senso negativo sul mercato interno della intera Unione Europea con grave danno per tutti gli utenti dello stesso mercato interno.

_______________________li __________________________

Sottoscrizioni

Firma dei ricorrenti Firma di eventuali rappresentanti dei ricorrenti

Firmato come Sindacato Europeo dei Lavoratori

Di admin